Appalto

Normativa di riferimento:

  • C.C. art. 1665
  • D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35
  • D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36-bis
  • D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29
  • D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 118
  • D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26 e segg.
  • L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 31
  • D.L. 9-2-2012  n. 5, art. 21 c. 1
  • D.L. 2-3-2012 n. 16, art. 2 c. 5 bis

Si riporta a seguire il testo della Circ. 11 febbraio 2011, n. 5/2011, emanata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la quale sintetizza il quadro giuridico degli appalti.

Indice:

Premessa
"Genuinità" dell'appalto
A
ppalto illecito e fraudolento
Obblighi retributivi
V
alore degli appalti e criteri di scelta dei contraenti
Regime di responsabilità solidale
Certificazione del contratto
La sicurezza del lavoro negli appalti

Premessa
Nell'attuale sistema economico e produttivo appare sempre più frequente il ricorso a processi di esternalizzazione in forza dei quali le imprese e i datori di lavoro affidano intere fasi del proprio ciclo produttivo a soggetti esterni. Anche il nostro ordinamento giuridico, seppure in ritardo rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi, ha avviato un processo di modernizzazione del quadro normativo di riferimento in materia, fermo restando il rispetto di determinati obblighi finalizzati, in via generale, a salvaguardare i diritti dei prestatori di lavoro coinvolti nei processi di esternalizzazione. L'inadeguatezza e l'inattualità del precedente quadro normativo, a fronte del mutato contesto produttivo imprenditoriale e della evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro, sono state superate con l'intervento della riforma del mercato del lavoro operata dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che ha permesso di valutare come opportunità e non più come una strategia rischiosa, sul piano organizzativo, la traslazione all'esterno, in capo all'appaltatore, sia pure solo in parte, del risultato produttivo e delle responsabilità connesse all'utilizzo della forza-lavoro. Anche in considerazione della complessità della successiva legislazione e delle diverse fonti di riferimento (artt. 1665 c.c. e segg.; art. 29, D.Lgs. n. 276/2003; art. 118, D.Lgs. n. 163/2006; art. 35, comma 28, D.L. n. 223/2006), si ritiene opportuna una ricognizione delle principali problematiche che gli operatori incontrano nel ricorrere all'appalto.


"Genuinità" dell'appalto
Una prima questione riguarda l'individuazione dei criteri che, sulla base della disciplina di legge, ma anche di consolidati orientamenti giurisprudenziali, consentono di considerare l'appalto lecito. Sul punto va, in primo luogo, richiamato quanto stabilisce l'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, secondo il quale «il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigente dell'opera o del servigio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa».
Con riferimento agli appalti che non richiedono un rilevante impiego di beni strumentali, in cui la consistenza organizzativa dell'appaltatore sia esigua, riducendosi alla organizzazione del lavoro (es. servizi di facchinaggio o pulizia), il Legislatore precisa, dunque, che la genuinità dell'appalto può anche risultare da un accertamento su chi, concretamente, esercita il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati. In tal senso, pertanto, la distinzione tra appalto e somministrazione di lavoro, già consolidata nella pregressa giurisprudenza, consiste nella diversità dell'oggetto: un "fare" nell'appalto, giacché l'appaltatore fornisce al committente una opera o un servizio, da realizzare tramite la propria organizzazione di uomini e mezzi, assumendosi il rischio d'impresa; un "dare" nella somministrazione, nella quale il somministratore si limita a fornire a un terzo forza lavoro da lui assunta, affinché questi ne utilizzi la prestazione secondo le proprie necessità, adattandole al proprio sistema organizzativo.
L'organizzazione dei mezzi, requisito imprescindibile dell'appalto genuino, deve, pertanto, intendersi in senso ampio, attesa la possibilità, normativamente prevista, che essa si sostanzi, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, nel puro «esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché nella assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa».
In proposito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è già pronunciato con le "Linee guida alla certificazione", allegate alla circolare 15 dicembre 2004, n. 48, dove è stata evidenziata l'esigenza di esaminare attentamente i principali elementi del contratto: «attività appaltata, durata presumibile del contratto, dettagli in ordine all'apporto dell'appaltatore ed in particolare precisazioni circa l'organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell'opera o del servizio dedotto in contratto'».
Sempre nella circolare 15 dicembre 2004, n. 48, al fine di valutare la tipologia e la qualità dell'apporto dell'appaltatore, si è distinto il caso dei "contratti d'appalto concernenti lavori specialistici", caratterizzati dalla speciale rilevanza delle competenze dei lavoratori impiegati a fronte della non rilevanza di attrezzature o beni strumentali, sottolineando il rilievo di un comprovato know how aziendale in possesso dell'appaltatore, anche con riferimento alle professionalità del personale prescelto, nonché delle specifiche indicazioni circa le effettive modalità di esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impegnati nell'appalto. Nelle ipotesi in cui l'appaltatore si trovi a operare nei confronti di un solo committente il contratto di appalto deve consentire di verificare con chiarezza, in concreto, «se in capo all'appaltatore incomba l'organizzazione dei mezzi necessari e se è rintracciabile il rischio d'impresa».
D'altronde, proprio il "rischio d'impresa" rappresenta il terzo dei criteri segnalati dalle linee guida, evidenziando, a mero titolo esemplificativo e senza pretese di esaustività, alcuni indici rivelatori della sua sussistenza:
- l'appaltatore ha già in essere una attività imprenditoriale che viene esercitata abitualmente;
- l'appaltatore svolge una propria attività produttiva in maniera evidente e comprovata;
- l'appaltatore opera per conto di differenti imprese da più tempo o nel medesimo arco temporale considerato.
Al riguardo, peraltro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ulteriormente chiarito che il solo utilizzo di strumenti di proprietà del committente, ovvero dell'appaltatore da parte dei dipendenti del subappaltatore, non costituisce di per sé elemento decisivo per la qualificazione della fattispecie in termini di appalto non genuino, «attesa la necessità di verificate tutte le circostanze concrete dell'appalto e segnatamente la natura e le caratteristiche dell'opera o del servizio dedotti nel contratto di modo che, nel caso concreto, potrà ritenersi compatibile con un appalto genuino anche un'ipotesi in cui i mezzi materiali siano forniti dal soggetto che riceve il servizio, purché la responsabilità del loro utilizzo rimanga totalmente in capo all'appaltatore e purché attraverso la fornitura di tali mezzi non sia invertito il rischio di impresa, che deve in ogni caso gravare sull'appaltatore stesso» (nota 22 ottobre 2009, n. 25/I/0015813).
Anche con risposta alla nota 20 febbraio 2009, n. 25/I/0002606 sono state fornite indicazioni in tal senso. Più in particolare è stato chiarito che un consorzio di imprese, in veste di imprenditore autonomo, può fornire alle singole imprese consorziate servizi consistenti nelle attività di gestione ed organizzazione di catering, banqueting e ristorazione, precisando tuttavia che:
- «ciò deve avvenire necessariamente nell'ambito di un contratto di appalto genuino che presenti tutti i requisiti essenziali previsti dalla legge ed enucleati dalla giurisprudenza (organizzazione imprenditoriale, rischio d'impresa, esercizio del potere direttivo, impiego di capitali, macchine e attrezzature, ecc.)»;
- «deve essere riscontrabile un'autonoma organizzazione funzionale e gestionale del servizio finalizzata allo specifico risultato produttivo, che non si traduca nella mera gestione amministrativa del lavoro».
In particolare, per quanto attiene agli appalti in materia di vigilanza privata, nell'esaminare i profili normativi, contrattuali e retributivi, le Direzioni del lavoro verificheranno che l'impresa aggiudicataria fosse già titolare della prevista licenza di Pubblica Sicurezza, e in caso di appalti pubblici ne informerà l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
La verifica circa la "genuinità" dell'appalto può, d'altro canto, servirsi di alcuni elementi di carattere formale, tra i quali:
- l'iscrizione nel Registro delle imprese, con particolare riguardo alla data, all'oggetto sociale, nonché al capitale sociale;
- il libro giornale ed il libro degli inventari;
- il Libro unico del lavoro per le scritturazioni afferenti alla data di assunzione, nonché alle qualifiche e mansioni dei lavoratori impiegati nell'appalto;
- il Documento unico di regolarità contributiva (cosiddetto DURC).
In mancanza degli elementi, sostanziali e formali ora richiamati, potranno riscontrarsi i profili oggettivi e soggettivi delle due differenti reazioni sanzionatorie previste dal D.Lgs. n. 276/2003 per l'appalto non genuino.

Appalto illecito e fraudolento
La reazione sanzionatoria rispetto all'appalto non genuino va esaminata tenendo presente quanto già affermato nella Dir. Stato 18 settembre 2008 sui servizi ispettivi e le attività di vigilanza, secondo cui «obiettivo assoluto è il contrasto alla interposizione illecita e fraudolenta, mediante la verifica della sussistenza dei criteri di genuinità», valorizzando altresì le affermazioni contenute nel Piano triennale "Liberare il lavoro per liberare i lavori", adottato dal Consiglio dei Ministri del 30 luglio 2010, in base al quale deve ritenersi «doveroso e possibile l'obiettivo della "tolleranza zero" per le forme peggiori di sfruttamento del lavoro» tra le quali sono, appunto, inseriti gli appalti non genuini.
Ciò premesso, occorre ricordare, anzitutto, che per effetto dell'art. 18, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003, inserito dal D.Lgs. n. 251/2004, «nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all'art. 29, comma 1, (...) l'utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore-occupato e per ogni giornata di occupazione».
D'altro canto, quando l'appalto illecito è stato posto in essere al fine di eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo si realizza anche l'ipotesi di reato di somministrazione fraudolenta, di cui all'art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003. Conseguentemente l'appalto fraudolento sarà punito con la ulteriore pena dell'ammenda di euro 20 per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di impiego, che si aggiunge a quella prevista per l'appalto illecito.
Peraltro, se a fronte dell'appalto illecito gli ispettori del lavoro dovranno adottare la prescrizione obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004) intimando l'immediata cessazione della azione antidoverosa allo pseudo-committente e allo pseudo-appaltatore, nei riguardi del committente fraudolento, a contrasto di ogni forma di inaccettabile dumping sociale ed economico, la prescrizione obbligatoria dovrà prevedere l'intimazione a regolarizzare alle proprie dipendenze i lavoratori impiegati, per la durata dell'effettivo impiego nel presunto appalto, rivelatosi illecito e fraudolento. Inoltre, valutate tutte le circostanze, secondo le indicazioni già fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la circolare 24 giugno 2004, n. 24/2004 il personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro potrà adottare, nei confronti del committente-utilizzatore fraudolento, anche il provvedimento di diffida accertativa (art. 12, D.Lgs. n. 124/2004) per i crediti patrimoniali maturati dai lavoratori impiegati nell'appalto, in ragione delle eventuali differenze retributive riscontrate.

Obblighi retributivi
Nell'ambito degli appalti rivestono particolare rilievo anche gli obblighi di carattere retributivo connessi all'utilizzazione dell'istituto.
Quanto agli appalti privati, la determinazione dei trattamenti retributivi minimi da garantirsi ai lavoratori impiegati nell'appalto è affidata - fermi restando il disposto dell'art. 36 della Costituzione e dell'art. 36 della legge n. 300/1970 e diversamente da ciò che accade in caso di somministrazione di lavoro (art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003) - alla autonomia contrattuale collettiva, con possibili divaricazioni salariali, all'interno del medesimo appalto, tra i dipendenti del committente e quelli dell'appaltatore, le cui prestazioni possano apparire astrattamente omogenee o comparabili.
Va, tuttavia, ricordato che l'art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 stabilisce l'obbligo del rispetto «degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi, favorendo pertanto l'applicazione delle tariffe minime retributive previste dalla contrattazione collettiva e il rispetto delle norme contrattuali relative al personale nei casi di cambio di appalto.
Tale principio appare ancor più stringente nell'ambito dell'edilizia dove l'applicazione del contratto collettivo nella sua parte economico-normativa, ivi compresa l'iscrizione e il versamento della contribuzione agli enti bilaterali, costituisce requisito essenziale ai fini del rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC).
Nel settore dell'artigianato, ove l'impresa non aderisca al sistema della bilateralità, il rispetto della parte economico-normativa del contratto collettivo - condizione per ottenere benefici normativi e contributivi ai sensi dell'art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 - implica la corresponsione di un elemento aggiuntivo della retribuzione volto ad assicurare condizioni di effettiva equivalenza retributiva, oltre alla garanzia delle prestazioni previste dal contratto collettivo, secondo quanto già chiarito, in termini generali e per tutti i settori produttivi, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con circolare 15 dicembre 2010, n. 43/2010.
Nell'ambito degli appalti pubblici occorre in primo luogo richiamare la disposizione normativa di cui all'art. 36 della legge n. 300/1970 in virtù della quale «nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata nei capitolati di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona. Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge».
Per quanto afferisce ai crediti retributivi dei lavoratori impiegati nella esecuzione dell'appalto occorre, innanzitutto, richiamare il disposto di cui all'art. 5, comma 5, lett. r) del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione della Dir. 2004/17/CE e della Dir. 2004/18/CE) là dove si prevede un «intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva e contributiva dell'appaltatore», le cui modalità di attuazione sono state definite dagli artt. 4 e 5 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 recante il Regolamento di attuazione del Codice stesso.
Da ultimo, nell'ambito dei contratti pubblici, le tutele retributive dei lavoratori sono ulteriormente garantite dal disposto di cui all'art. 118, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, secondo il quale «l'affidatario è tenuto ad osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni».


Valore degli appalti e criteri di scelta dei contraenti
I profili connessi agli oneri retributivi e contributivi dell'appalto rimandano al tema della corretta determinazione del costo degli appalti pubblici, in particolar modo in tutte le ipotesi in cui i criteri di aggiudicazione sono legati a meccanismi di "ribasso" rispetto a un importo stimato dal committente.
Sul punto sia il D.Lgs. n. 81/2008 che, più specificatamente, il D.Lgs. n. 163/2006 prevedono norme volte a salvaguardare, nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti, proprio i diritti dei lavoratori coinvolti sia dal punto di vista retributivo/contributivo sia sotto il profilo della sicurezza del lavoro. Peraltro si ricorda che, sotto il profilo strettamente contributivo, l'assenza della DURC comporta già di per sé l'esclusione dalla partecipazione alle gare di appalto.
L'art. 86, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 163/2006 - ripreso peraltro in modo integrale dall'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 - prevede infatti che «nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture (...) il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contralto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione».
In tal senso, dunque, va evidenziata la necessità, da parte delle stazioni appaltanti pubbliche, di porre la massima attenzione proprio sui costi del lavoro e della sicurezza, che non possono mai essere oggetto di ribasso d'asta, proprio in quanto costi "insopprimibili" legati alla tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori. Tale principio, peraltro, è ribadito e rinforzato dal comma 3-ter dello stesso art. 86 del Codice dei contratti pubblici che, in riferimento ai costi della sicurezza, stabilisce come gli stessi non possano mai essere soggetti "a ribasso d'asta".
Nella stessa logica l'analoga e più generale previsione dell'art. 26, comma 5, del D.Lgs. n. 81/2008 contempla addirittura la sanzione della nullità del contratto d'appalto (privato e pubblico) in caso di mancata indicazione nello stesso dei costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi interferenziali.
Pertanto, l'offerta del concorrente, anche se si partecipa a una gara caratterizzata dal criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, deve in ogni caso essere rispettosa del costo del lavoro e degli oneri della sicurezza che non possono formare oggetto di alcun ribasso. Nello stesso senso, l'art. 87 del Codice dei contratti pubblici secondo cui, in sede di giustificazione della offerta, successivamente richiesta al concorrente potenzialmente aggiudicatario del servizio, non vengono ammesse giustificazioni in ordine ai trattamenti salariali minimi inderogabili e agli oneri della sicurezza. Con riferimento a questi ultimi si terrà conto degli ulteriori oneri derivanti dall'ottemperanza di ulteriori specifiche prescrizioni di legge, come ad esempio per quanto attiene alle attività di vigilanza privata, trasporto e scorta valori ( D.M. 8 luglio 2009).
In questa prospettiva, le Direzioni provinciali del lavoro, per i profili di propria competenza in materia di tutela del lavoro e della sicurezza sul lavoro, collaboreranno con l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nel richiedere alle stazioni appaltanti "documenti, informazioni e chiarimenti" relativamente alle attività contrattuali in corso o da iniziare, e coadiuveranno la Guardia di Finanza, nelle ispezioni disposte dalla medesima Autorità, anche in attuazione della Convenzione del 26 ottobre 2010 (art. 6, comma 9, lett. a), b) e d), del Codice dei contratti pubblici).
Inoltre, ferme restando le autonome determinazioni delle stazioni appaltanti in merito alla scelta del criterio più adatto per la individuazione del contraente aggiudicatario, ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006, si ritiene di segnalare l'indirizzo della Comunità europea per l'adozione, nelle diverse modalità di gara, del sistema della offerta economicamente più vantaggiosa e anche di valutare la procedura del "dialogo competitivo", di cui all'art. 58 del Codice dei contratti pubblici (art. 29, Direttiva 2004/18/CE), quale sede privilegiata per la corretta e integrale valutazione dei profili attinenti alla tutela del lavoro e della sicurezza del lavoro in ipotesi di appalti particolarmente complessi (secondo la definizione datane dall'art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006). Si tratta, in effetti, di uno strumento che introduce una flessibilità più ampia rispetto alle tradizionali procedure, potendo rappresentare una utile risposta alla multiforme e complessa natura delle esigenze della stazione appaltante pubblica, a fronte dei molteplici possibili strumenti di soddisfazione di esse, senza in alcun modo svilire le tutele da riconoscersi sul piano lavoristico.
Da ultimo, si rappresenta l'opportunità che nei capitolati e nelle convenzioni siano ben esplicitati l'obbligo di rispettare integralmente il contratto collettivo nazionale di lavoro del settore oggetto dell'appalto, sottoscritto dalle associazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, differenziato per categoria se l'appalto comprende più settori, ed eventuali accordi integrativi vigenti, sia nei confronti dei lavoratori dipendenti che dei soci lavoratori delle cooperative, nonché la necessità di applicare di tutte le normative vigenti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e delle norme relative all'inserimento lavorativo dei disabili.


Regime di responsabilità solidale
Altra problematica connessa all'utilizzo dell'istituto è quella della responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, relativamente agli oneri di carattere retributivo, contributivo e fiscale derivanti dall'appalto e dal subappalto (ndr si veda anche in materia la Circ. Inps 106/2012).

Appalti privati
Nell'ambito degli appalti privati occorre, anzitutto, riferirsi all'art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 (come risultante dalle modifiche operate dall'art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 251/2004 nonché dall'art. 1, comma 911, della legge n. 296/2006), secondo il quale in «caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti».
In proposito è opportuno evidenziare che l'art. 1, comma 911, della legge n. 296/2006 ha elevato da 1 a 2 anni dalla cessazione dell'appalto il limite temporale entro cui i lavoratori interessati possono agire nei confronti del committente affinché questi risponda, in solido con l'appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, dei trattamenti retributivi e previdenziali (sia contributivi e assistenziali che assicurativi) dovuti. Il limite temporale per far valere la responsabilità solidale per il pagamento dei debiti retributivi e contributivi costituisce, dunque, un termine di decadenza per l'esercizio dei relativi diritti. Inoltre, trattandosi di diritti relativi a oneri sia retributivi che previdenziali, la decadenza opera con riferimento all'esercizio della azione non solo da parte del lavoratore, creditore delle somme dovute a titolo di retribuzione, ma anche da parte degli Istituti, creditori delle somme dovute a titolo di contributi.
Per quanto riguarda proprio l'aspetto contributivo, si evidenzia tuttavia che il termine decadenziale di due anni si riferisce evidentemente alla azione dell'Istituto nei confronti del responsabile solidale, mentre resta ferma l'ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero contributivo nei confronti del datore di lavoro inadempiente (appaltatore o eventuale subappaltatore).
Ancora con riferimento all'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 appare utile segnalare che il generico riferimento della disposizione al termine "lavoratori", quali beneficiari delle tutele poste dal regime della responsabilità solidale, consente di dire che di queste ultime possono fruire non soltanto i lavoratori subordinati ma anche altri soggetti impiegati nell'appalto con diverse tipologie contrattuali (ad es. collaboratori a progetto e associati in partecipazione). Va, peraltro, evidenziato che il suddetto regime di responsabilità opera a tutela di tutti i lavoratori impiegati in un determinato appalto e nell'eventuale subappalto e, pertanto, anche con riferimento ai lavoratori "in nero", ossia i lavoratori «non risultanti dalle scritture o altra documentatone obbligatoria».
Da ultimo, sul punto, si segnala che la previsione normativa analizzata non trova applicazione se il committente è una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale (art. 29, comma 3-ter, D.Lgs. n. 276/2003).
Accanto alla previsione dell'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 è poi da annoverare quanto prevede l'art. 1676 c.c., secondo il quale «coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda». Tale disposizione non pone, dunque, limiti di carattere temporale per l'azione per il riconoscimento delle retribuzioni dovute ma un diverso limite di carattere "quantitativo". Pertanto, trascorso il termine di due anni dalla cessazione dell'appalto previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, resta in ogni caso possibile l'esercizio della azione diretta ex art. 1676 c.c. nei confronti del committente, azione che consente di conseguire la retribuzione entro il limite del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui viene proposta la domanda.
A tale quadro normativo va ad aggiungersi la previsione contenuta nel comma 28 dell'art. 35 del D.L. n. 223/2006, convertito da legge n. 248/2006 (i commi dal 29 al 34 del citato articolo sono stati abrogati dal D.L. n. 97/2008, convertito da legge n. 129/2008), secondo il quale «l'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore della effettuazione e del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il subappaltatore».
In proposito occorre precisare che il meccanismo delineato dall'art. 35 va a integrare quanto già previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, estendendo in particolare la responsabilità solidale anche per l'adempimento degli obblighi fiscali nell'ambito dei rapporti tra appaltatore e subappaltatore. In tal caso occorre, tuttavia, precisare che, stante la lettera della norma che fa espresso riferimento ai "redditi di lavoro dipendente", la responsabilità solidale dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori per contributi e ritenute fiscali (e non per le retribuzioni) trova applicazione esclusivamente con riferimento alle prestazioni rese da lavoratori subordinati.

Appalti pubblici
Il regime della responsabilità solidale nell'ambito degli appalti pubblici trova le proprie fonti, anzitutto, nell'art. 1676 c.c. e nell'art. 35, comma 28, del D.L. n. 223/2006.
Ai meccanismi di solidarietà anzidetti va ad aggiungersi la previsione dell'art. 118, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 secondo il quale «l'affidatario (...) è, altresì, responsabile in solido dell'osservanza delle norme anzidette [trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni] da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell'ambito del subappalto».
A tal riguardo, senza porre vincoli temporali o quantitativi, il Codice dei contratti pubblici prevede sic et simpliciter un regime di responsabilità solidale nell'ambito dei rapporti tra appaltatore e subappaltatore, mentre nei rapporti tra committente pubblico e appaltatore resta ferma la disciplina generale.

Cessione del ramo di azienda e appalto
Ancora in tema di solidarietà va ricordata la specifica previsione contenuta nell'art. 2112 c.c., così come modificato dall'art. 32 del D.Lgs. n. 276/2003, che anche in relazione all'istituto del trasferimento di ramo d'azienda richiede espressamente, qualora l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, l'applicazione del regime di solidarietà di cui all'art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003.

Responsabilità solidale e attività di vigilanza
Sulla base del quadro normativo esposto occorre dunque fornire indicazioni al personale ispettivo in ordine agli adempimenti da porre in essere ai fini della concreta applicazione della disciplina in materia di responsabilità solidale.
In particolare gli organi di vigilanza, qualora accertino inadempimenti retributivi e/o contributivi, sono tenuti a notificare i verbali di accertamento/contestazione a tutti i responsabili in solido (committente, appaltatore ed eventuale subappaltatore). La tempestiva comunicazione al responsabile solidale, infatti, consente allo stesso di attivare i meccanismi di autotutela a sua disposizione (ad es. bloccare il pagamento dei lavori onde far fronte agli obblighi omessi).
Allo stesso modo, se nell'ambito della attività di vigilanza vengono riscontrate inosservanze da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo che adotti il provvedimento di diffida accertativa, successivamente alla validazione da parte del Direttore della Direzione provinciale del lavoro (art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 124/2004), è tenuto a notificare il provvedimento anche a tutti i soggetti responsabili solidali.

Certificazione del contratto
La complessità dei rapporti che scaturiscono dalla sottoscrizione di un contratto di appalto suggeriscono, un utile ricorso all'istituto della certificazione.
Va, infatti, ricordato che, al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro le parti possono ottenere la certificazione, anche del contratto di appalto, secondo le procedure stabilite nel Titolo VIII (artt. 75-84) del D.Lgs. n. 276/2003, come illustrate dalla citata circolare 15 dicembre 2004, n. 48, tenendo conto delle modifiche introdotte dalla recente legge n. 183/2010 (cosiddetto "Collegato lavoro") e avendo ben presenti le indicazioni in argomento contenute nella già richiamata macrodirettiva del Ministro del lavoro del 18 settembre 2008. Si sottolinea, in particolare, sul macrodirettiva ora citata dispone come l'attività investigativa debba concentrarsi sui contratti che non sono stati oggetto di certificazione.
Peraltro, con specifico riferimento all'appalto, l'art. 84 del D.Lgs. n. 276/2003 stabilisce che le procedure di certificazione possono essere utilizzate - sia in sede di stipulazione del contratto, sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale - anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto.
Sul punto si evidenzia che l'efficacia della certificazione risulterà tanto evidente quanto più l'indagine dell'organo certificatore si orienterà ad una disamina attenta della sussistenza degli elementi e dei requisiti previsti dall'articolo 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 sopra richiamati, non soltanto su base meramente documentale, ma anche mediante dichiarazioni pubblicamente rese e acquisite dalle parti contraenti in sede di audizione personale nel corso dell'iter di certificazione.
Al riguardo si segnala che, come recentemente disposto dall'art. 31, comma 7, della legge n. 183/2010 - che ha novellato l'art. 79 del D.Lgs. n. 276/2003 - gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato - appunto tramite una accorta attività istruttoria, ivi comprese le dichiarazioni delle parti - che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita.


La sicurezza del lavoro negli appalti
Anche con riferimento ai profili di salute e sicurezza del lavoro la disciplina normativa, contenuta in particolare nel D.Lgs. n. 81/2008, successive modificazioni e integrazioni, e nell'art. 131 del D.Lgs. n. 163/2006, introduce particolari obblighi in relazione alla stipulazione di contratti di appalto, individuando modalità di carattere operativo più incisive ed efficaci per realizzare la necessaria cooperazione e il coordinamento tra committenti e appaltatori, nella predisposizione della sicurezza "globale" delle opere e dei servizi da realizzare.

Il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali)
La declinazione più puntuale delle misure di prevenzione e protezione incidenti sulla attività lavorativa oggetto dell'appalto viene realizzata mediante l'elaborazione di uno specifico documento che formalizza tutta l'attività di cooperazione, coordinamento e informazione reciproca delle imprese coinvolte ai fini della eliminazione ovvero della riduzione dei possibili rischi legati alla interferenza delle diverse lavorazioni.
È questa, infatti, la logica del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), che estende la stessa logica del Piano di sicurezza e coordinamento (PSC) previsto per i cantieri temporanei e mobili (Titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008) a tutti i settori di attività, con l'obiettivo di lasciare una traccia precisa e puntuale delle ''attività prevenzionistiche" poste in essere da tutti i soggetti che, a qualunque titolo, interagiscono nell'appalto.
Il DUVRI, elaborato a cura del committente/datore di lavoro, racchiude le linee guida operative che devono essere seguite dalle imprese e dai lavoratori autonomi coinvolti nelle attività oggetto di appalto, con la sola eccezione dei servizi di natura intellettuale, delle mere forniture di materiali o attrezzature e dei lavori o servizi di durata non superiore a due giorni, sempre che gli stessi non comportino i rischi particolari indicati dall'art. 26, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 81/2008.
Nel contratto di appalto - come già ricordato - vanno anche identificati i costi relativi alla realizzazione delle misure necessarie per eliminare o ridurre al minimo i rischi derivanti dalle interferenze delle lavorazioni, a pena di nullità del contratto stesso. Ai dati relativi ai costi della sicurezza hanno accesso i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Tra le attribuzioni del RLS del committente e delle imprese appaltatrici (art. 50, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008) vi è, inoltre, la possibilità di richiedere copia del DUVRI, con le modalità previste dall'art. 18, comma 1, lett. o), del D.Lgs. n. 81/2008, per l'espletamento della funzione.

La sicurezza sul lavoro negli "ambienti sospetti di inquinamento" e nei "luoghi confinati"
Una problematica di particolare rilevanza legata alla sicurezza del lavoro nell'ambito degli appalti riguarda le attività che coinvolgono più imprese in contesti in cui si possono verificare condizioni ambientali pregiudizievoli per i lavoratori.
Le dinamiche infortunistiche, anche recenti, evidenziano una situazione di forte criticità legata alla attività lavorativa svolta in ambienti confinati sia a causa di asfissia che di vere e proprie intossicazioni causate da esalazioni tossiche di agenti chimici pericolosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Rispetto a queste ipotesi, le carenze prevenzionistiche di maggiore rilievo attengono a un mancato controllo e a una verifica analitica strumentale della atmosfera in ambiente confinato riconducibile a una assente o lacunosa valutazione dei rischi, alla mancata adozione delle più elementari misure di prevenzione e protezione, collettiva e individuale, a una carente o del tutto mancante azione di formazione e informazione dei lavoratori e a una insufficiente e non efficiente gestione della emergenza. Inoltre, elemento idoneo a produrre gravi conseguenze per la salute e sicurezza degli operatori è l'assenza o la carenza di idonee informazioni e del coordinamento tra datore di lavoro committente e le imprese e/o i lavoratori autonomi che operino nelle aree in cui insistono ambienti confinati, ancora più grave ove si traduca - come troppo spesso è accaduto - nella mancata consapevolezza della esistenza nei luoghi oggetto di appalto di rischi letali per gli operatori.
Tale scenario evidenzia la forte esigenza, da un lato, di attuare gli esistenti strumenti giuridici (art. 66 del D.Lgs. n. 81/2008) che favoriscono l'innalzamento dei livelli di tutela nelle lavorazioni che possono contemplare tale tipologia di rischio e, dall'altro, di pianificare una specifica azione di monitoraggio e controllo degli appalti di servizio aventi ad oggetto attività manutentive o di pulizia su aree confinate (silos, pozzi, cisterne, serbatoi, impianti di depurazione, cunicoli e gallerie ecc.), appalti che maggiormente espongono al rischio in esame personale di aziende non necessariamente preparato ad affrontare tali specifiche evenienze. La individuazione degli interventi non può che presupporre - in piena coerenza con le previsioni del "testo unico" di sicurezza e tutela della salute nel luogo di lavoro - un percorso che coinvolga le strutture centrali delle Amministrazioni pubbliche competenti in materia, le Regioni e le parti sociali, in modo da tener conto delle esigenze manifestate da ognuno e giungere a soluzioni condivise.

La qualificazione professionale delle imprese
Una questione di fondamentale importanza per garantire "a monte" più efficaci condizioni di sicurezza nei lavori effettuati in regime di appalto o subappalto è legata alla idoneità tecnico-professionale delle imprese coinvolte nelle lavorazioni.
Sul punto occorre segnalare quanto stabilito dall'art. 26, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 81/2008 che, nelle more della emanazione di uno specifico D.P.R. che definirà il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all'articolo 27 del "Testo unico", richiede una auto certificazione della impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi relativa al possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale.
Una previsione più incisiva è, invece, quella dell'art. 27, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 81/2008, relativa al settore delle imprese edili, cioè quelle inquadrate come tali ai fini previdenziali, che introduce uno strumento idoneo a consentire la continua verifica della idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi, con particolare riferimento alla assenza di violazioni della disciplina prevenzionistica e ai requisiti di formazione previsti. Si tratta del c.d. meccanismo della "patente a punti" che prevede la decurtazione di un punteggio predeterminato in relazione all'accertamento di violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, fino ad arrivare ad un vero e proprio divieto di continuare ad operare nel settore edile in caso di azzeramento del punteggio. Tale meccanismo opererà una volta che verrà completata la predisposizione del citato D.P.R. sulla qualificazione delle imprese in avanzata fase istruttoria.
Come dispone l'articolo 27, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008 sono in ogni caso fatte salve le disposizioni in materia di qualificazione previste dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.

Cartellino di identificazione dei lavoratori coinvolti nell'appalto
Riprendendo una specifica disposizione introdotta nel campo dell'edilizia dall'art. 36-bis, comma 3, del D.L. n. 223/2006 (conv. da legge n. 248/2006), l'art. 26, comma 8, del D.Lgs. n. 81/2008 estende a tutto il personale occupato dalle imprese appaltatrici o subappaltatrici coinvolte negli appalti di qualunque settore e ai lavoratori autonomi l'obbligo di essere muniti di una apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.
L'osservanza della disposizione fa capo all'impresa, quanto alla fornitura dei cartellini identificativi, e ai lavoratori, per quanto concerne l'esposizione degli stessi. I lavoratori autonomi sono tenuti a predisporre per sé stessi e a esporre la tessera di riconoscimento.
Da ultimo, con la previsione di cui all'art. 5 della legge n. 136/2010, si è previsto che la tessera di riconoscimento deve contenere, oltre agli elementi già specificati, anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione (ovvero la data di richiesta di autorizzazione al subappalto rispetto alla quale si è formato il silenzio-assenso), mentre la tessera dei lavoratori autonomi deve contenere anche l'indicazione del committente.
A questo proposito, nel caso degli appalti privati, il cartellino potrà contenere la data della autorizzazione al subappalto, che può coincidere con quella di stipula, anche verbale, del contratto di appalto nel quale si autorizza il subappalto stesso.

Infortunio su lavoro, responsabilità del committente e profili risarcitori
A
l fine di rafforzare la tutela economica dei lavoratori coinvolti nell'appalto, la disposizione di cui all'art. 26, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 prevede una responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori per gli eventuali danni riportati dai lavoratori in conseguenza di infortuni sul lavoro non indennizzati dall'INAIL.
La disposizione è di particolare rilievo proprio in quanto, in precedenza, in caso di inadempienza del datore di lavoro a fronte dell'obbligo risarcitorio, il lavoratore non poteva avere soddisfazione del suo credito e ciò di fatto penalizzava i dipendenti delle imprese di minori dimensioni e meno strutturate.
Quanto alla identificazione dei danni non indennizzabili dall'INAIL, questi si riferiscono per lo più a quelli che comportano una invalidità inferiore alla soglia minima indennizzabile dall'Istituto e all'eventuale danno biologico "differenziale" calcolato secondo i criteri della responsabilità civile.

Il Ministro
Maurizio Sacconi

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