Fino all’entrata in vigore del d.lgs 50/2016, il discrimine tra appalto e concessione è stato ricercato dalla giurisprudenza sulla base di differenti criteri interpretativi. Il privilegio dato dagli interpreti all’uno o all’altro ha condizionato la qualificazione finale del contratto, come appalto di servizi o concessione:
a) Criterio “del destinatario”. Secondo questo primo sistema interpretativo si evidenzia che mentre negli appalti pubblici di servizi l'appaltatore presta il servizio in favore della pubblica amministrazione, al contrario nella concessione di pubblico servizio il concessionario si sostituisce alla pubblica amministrazione nell'erogazione del servizio direttamente alla collettività.
b) Criterio gestionale. Secondo questa diversa chiave di lettura si è in presenza di una concessione e non di un appalto laddove l’operatore economico si assuma i rischi di gestione della prestazione servizio, rivalendosi sull’utente attraverso la riscossione di un canone, di una tariffa o altro.
c) Criterio del costo. Infine, si ritiene che si ha concessione se il servizio è reso ai cittadini terzi ed il corrispettivo sia in tutto o in parte a carico degli utenti; si ha, invece appalto servizi se la prestazione è resa all’amministrazione aggiudicatrice, che ne corrisponde il controvalore economico.
L’accezione di concessione data dal d.lgs 50/2016 si avvicina maggiormente al “criterio gestionale”, ma specifica meglio la necessità del rischio operativo, a sua volta sul presupposto di un piano di equilibrio-economico finanziario integralmente a rischio del concessionario ed esposto al mercato.