L’art. 2106 c.c. afferma la possibilità di irrogare sanzioni disciplinari nel caso di inosservanza degli obblighi di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c., ovverosia: diligenza, obbedienza, fedeltà.
Il potere disciplinare del datore di lavoro, al pari di quello direttivo e di controllo, trova il proprio fondamento nel rapporto di lavoro subordinato e il cui esercizio garantisce il buon funzionamento dell’organizzazione dei fattori produttivi del datore di lavoro.
Affinchè possa essere irrogata una sanzione disciplinare dal datore di lavoro al lavoratore occorrono determinati requisiti, di carattere sia sostanziale che procedimentale.
Dal punto di vista dei requisiti sostanziali essi consistono in:
- sussistenza ed imputabilità del fatto: il lavoratore deve essere venuto meno ai suoi doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà, connessi al vincolo della subordinazione;
- è fatto divieto adottare sanzioni che comportino il mutamento definitivo del rapporto di lavoro (ad eccezione del licenziamento disciplinare, ovvero per giusta causa o giustificato motivo soggettivo);
- adeguatezza della sanzione: l’art. 2106 del c.c. stabilisce che l’inosservanza da parte del lavoratore dei suddetti obblighi può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione. Ciò significa che la sanzione deve essere proporzionata all’infrazione commessa dal lavoratore;
- limite alla rilevanza della recidiva: l’art. 7 dello statuto dei lavoratori stabilisce che “non può tenersi conto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione”.
Dal punto di vista dei requisiti procedimentali, essi si identificano nella predeterminazione del codice disciplinare contenente l’indicazione delle infrazioni sanzionate, delle sanzioni irrogabili nonché delle norme procedurali (esso deve essere conforme a quanto previsto dalla contrattazione collettiva); nella sua pubblicità (nel senso che tutti i lavoratori devono essere stati messi a conoscenza, mediante affissione dello stesso in un luogo accessibile a tutti); nella preventiva e specifica contestazione dell’addebito; nel diritto di difesa del lavoratore.
La sanzione non può essere irrogata prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione dell’addebito (termine che, talvolta, può essere elevato dalla contrattazione collettiva).
La contestazione mossa dal datore di lavoro deve essere tempestiva, deve contenere l’indicazione precisa del fatto addebitato, con indicazione delle circostanze di tempo e di luogo. Essa è immutabile e deve essere fatta per iscritto, esclusa l’ipotesi del rimprovero verbale.
Salvo diversa previsione contenuta nei contratti collettivi le sanzioni disciplinari che vengono nella pratica più frequentemente irrogate sono:
- il rimprovero verbale (cd. "ammonizione verbale");
- il rimprovero scritto (cd. "ammonizione scritta");
- la multa (irrogabile solo per un importo che non superi le 4 ore di retribuzione);
- la sospensione dal servizio (fino ad un massimo di 10 giorni);
- il licenziamento con preavviso;
- il licenziamento senza preavviso (per giusta causa).
Per quanto concerne gli indici per la valutazione della congruità della sanzione, la giurisprudenza ha focalizzato la propria attenzione su:
- la natura e la qualità del rapporto;
- il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni
- l’entità della mancanza;
- l’intensità dell’elemento intenzionale;
- la mancanza di precedenti disciplinari di alcun tipo;
- le particolari circostanze.
Oltre alle indicazioni, di carattere generale, previste dalle norme del codice civile e dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, occorre tenere in considerazione, quando si parla di potere disciplinare del datore di lavoro, anche quanto stabilito dalla contrattazione collettiva.
Essa, molto spesso, detta delle norme che vanno ad ampliare o viceversa ridurre il contenuto delle disposizioni generali sopra richiamate, oppure specificano e regolano più dettagliatamente una determinata fattispecie di sanzione disciplinare.
I CCNL, infatti, hanno in concreto elaborato la scala sanzionatoria, introducendo ulteriori fattispecie (ammonizione scritta) e rivedendo, di solito, i valori massimi.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte: "Le sanzioni disciplinari non trovano il loro fondamento nelle regole generali dei rapporti contrattuali, non sono assimilabili alle penali di cui all’art. 1382 cc., e non hanno una funzione risarcitoria, ma, grazie ad una portata afflittiva innanzitutto sul piano morale, hanno essenzialmente la funzione di diffidare dal compimento di ulteriori violazioni".
Pertanto non è possibile il trasferimento del lavoratore o il cambiamento di mansioni come "sanzione" disciplinare vera e propria, mentre è lecito in casi particolari pervenire al c.d. "licenziamento disciplinare", cioè alla risoluzione del rapporto.
Nel caso in cui il datore di lavoro intenda procedere all’irrogazione della sanzione più grave, ovvero il licenziamento disciplinare, è possibile, prima di tale momento, che nei confronti del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare venga adottato il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio.
La sospensione cautelare non costituisce sanzione disciplinare (a differenza della sospensione dal servizio) e non è pertanto soggetta alla procedura prevista dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. Se essa è prevista dalla contrattazione collettiva sarà quest'ultima a regolarne la procedura per l'irrogazione.
La sospensione cautelare dal servizio (normalmente accompagnata dal divieto di accedere ai locali aziendali) è una misura di carattere provvisorio e strumentale, disposta per autonoma decisione del datore di lavoro, volta all’accertamento dei fatti relativi alla violazione degli obblighi inerenti al rapporto da parte del lavoratore: essa esaurisce i suoi effetti con la revoca o con l’adozione dei provvedimenti disciplinari graduati secondo la gravità dell’infrazione accertata e contestata (ex multis Cass. 13.12.2010, n. 25136) e non deve essere confusa con il provvedimento disciplinare, consistente invece nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione, di cui all’art. 7 della legge 20.5.1970,n. 300.
Mentre la sospensione prevista dall’art. 7, comma 4, della legge n. 300/1970, è un provvedimento di natura disciplinare la cui durata massima è stabilita direttamente dalla legge in 10 giorni, la sospensione cautelare è una misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione da parte del lavoratore degli obblighi inerenti al rapporto, che esaurisce i suoi effetti con l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi; di conseguenza, il disposto dell’art. 7 sopra citato,che pone il limite di dieci giorni alla sospensione disciplinare, non trova applicazione all’ipotesi della sospensione cautelare, che non ha natura disciplinare.
Per quanto riguarda la sospensione cautelare, la funzione di tale forma di sospensione non è quella di porre il rapporto in fase di prolungata quiescenza, bensì solo di allontanare dall'azienda - per il tempo strettamente necessario - il lavoratore durante il procedimento disciplinare, nel caso in cui i fatti addebitati, ed ancora da accertare, siano di gravità tale da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto, ovvero nel caso in cui la presenza in azienda del lavoratore possa costituire fondato pericolo di possibili ulteriori turbamenti.
E’ interessante osservare che, durante il periodo di sospensione cautelare, rimane ferma in capo al datore di lavoro l’obbligazione retributiva, salvo che non vi sia una diversa disposizione di legge o della contrattazione collettiva, la quale peraltro, in ragione della prescrizione inderogabile dell’art. 7 Statuto dei Lavoratori, non può prevedere una sospensione dell’obbligo retributivo per una durata superiore a dieci giorni, limitazione che invece non sussiste per la giurisprudenza.
Se il procedimento disciplinare si esaurisce con il licenziamento del dipendente, la risoluzione del rapporto retroagisce, ex tunc fino alla data della sospensione cautelare; se invece il procedimento si conclude con l’applicazione di una sanzione conservativa o senza l’adozione di alcuna sanzione, il dipendente ha diritto alle retribuzioni non percepite.